Nelle tracce del presente, la storia e il futuro della Calabria
di Maria Cavallo
“Senza offesa, è la più nobile di tutte le regioni d’Italia”: così definiva la Calabria Gabriele Barrio, primo storico di questa regione, nel suo De antiquitate et situ Calabriae del 1571. Tuttavia, l’immagine di una terra ubertosa e illustre, ricca del necessario e del superfluo, è un ideale che molti eruditi del Basso Medioevo e dell’Età Moderna hanno contribuito a delineare, trasformandolo quasi in uno stereotipo.
Dal Settecento in poi, il nuovo spirito critico e i resoconti dei viaggiatori del Grand Tour hanno rilevato, accanto alle bellezze naturali, difetti e penurie delle necessità primarie, rozzezza e avvilimento, descrivendo la Calabria come “un corpo malato che si mostra pieno di piaghe e ulcere”.
Questi due poli, l’amenità e la feracità da un lato e il degrado e l’arretratezza dall’altro, hanno oscillato costantemente nelle rappresentazioni della Calabria, riflettendo i chiaroscuri della natura: grotte e boschi, tramonti e albe, distese di sole e mare, terremoti e alluvioni. E tra le diverse prospettive, quella naturalistica e paesaggistica e quella socio-economica e antropologica, si inserisce il corto circuito storico e narrativo di questa regione.
La storia della Calabria, che Tito Livio definiva extremus Italiae angulus, va conosciuta e raccontata leggendone le tracce del presente. Tuttavia, sebbene terra di confine, la Calabria ha trasformato quel confine in una soglia, in uno spazio di incontro, accoglienza e contaminazione, ricevendo sollecitazioni da tutto il Mediterraneo e indossando un profilo di straordinaria ricchezza, non difficile da ricostruire. Parte di questa ricchezza, infatti, vive, per esempio, attraverso le tre comunità “minoritarie”: grecanica, arbëreshë e occitana, realtà culturali ancora oggi attive e che impreziosiscono la regione.
Ad accomunarle un fenomeno incessante dell’uomo di ogni tempo, tanto da diventare un topos letterario ed esistenziale: il viaggio, ora di migrazione e colonizzazione, ora di riconquista, ora di fuga e di sopravvivenza; e poi il fattore unificante per eccellenza: la lingua, con le rispettive specificità.
L’anima e la lingua greca, che pulsano nei centri ellenofoni della provincia di Reggio, devono la loro origine non solo ai coloni greci, ma anche alla costituzione della Calabria come provincia occidentale dell’impero bizantino. Bova (Chora tu Vua), capitale dell’area grecanica, è simbolo di sopravvivenza e resistenza, affascinante per la sua posizione vertiginosa, la monumentalità dei palazzi e delle chiese, e la presenza di tre musei: il Museo della Lingua Greco-Calabra, il Museo Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte e il Museo all’aperto della Civiltà Contadina.
I profughi albanesi arrivarono in Calabria nel XV secolo, fuggiti dall’Epiro, dall’Albania e dalla Grecia sotto la pressione turca. Circa trenta comunità arbëreshë, con un patrimonio linguistico, culturale e religioso vivissimo, si sono perfettamente radicate nel territorio calabrese, custodendo e salvando la loro storia e la loro identità in diverso modo. Un esempio è San Benedetto Ullano, con le sue quindici porte narranti, dipinte da vari artisti, che raccontano miti, imprese, personaggi ed eventi storici. Passeggiare per i vicoli di questo paese è come sfogliare un catalogo della storia.
A Lungro, sede dell’Eparchia greco-bizantina, il rito bizantino in lingua greca e l’uso quotidiano della lingua arbëreshë testimoniano la legittima diversità nell’unità. Anche le comunità valdesi di Calabria, insediatesi dal XIII secolo nelle vallate interne tra Fuscaldo e Cetraro, hanno vissuto una storia sui generis per lingua e fede religiosa. La repressione contro questi “eretici” culminò nel famoso eccidio del 1561 a Guardia Piemontese. Oggi, luoghi e iniziative culturali come la Porta del Sangue, il Centro Culturale “Gian Luigi Pasquale” e il Museo Valdese, custodiscono e divulgano questa storia anche oltre la comunità guardiola.
Tanta ricchezza e complessità e una così preziosa biodiversità linguistica e culturale della Calabria esigono adeguati spazi di narrazione. Difendere queste specificità è un atto di responsabilità politica, perché perdere la possibilità di leggere la storia nei segni in cui è ancora impressa significa uscire dal continuum della storia stessa, rimanendo nell’immobilismo o, peggio ancora, sentendosi assenti anche nel presente.
Maria Cavallo, laureata in Lettere classiche e in Storia antica, è docente nei licei, attualmente comandata presso la Scuola europea di Francoforte, di cui coordina della Sezione italiana. Ha collaborato con l’Ufficio cultura del Consolato generale d’Italia di Francoforte e con l’Istituto di cultura di Colonia, moderando incontri con scrittori e intellettuali anche in occasione della Fiera del libro di Francoforte; collabora con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Treviri per la promozione della lingua e della cultura italiana. È vicepresidente dell’associazione culturale “Tirrenide” e direttrice artistica del festival “Madre Calabria – Percorsi Identitari”; è membro dell’Associazione Fabulanova, che ha prodotto lo spettacolo narrativo e musicale L’incanto, progetto sperimentale di narrazione integrata di mito, musica e racconto della Calabria, in cui ricopre il ruolo di conduttrice e narratrice. È animatrice culturale e promotrice di azioni di divulgazione e valorizzazione del patrimonio culturale della Calabria anche all’estero; è autrice di articoli pubblicati sulle riviste «Lamezia storica», «Calabria letteraria» e sulla testata web del «Corriere della Calabria», “Meraviglie di Calabria”, e di un contributo biografico pubblicato in: Le donne nella storia della Calabria, volume II, edito da Jonia Editrice per l’Associazione Italiana Parchi Culturali – sezione di Cosenza.