

La Calabria registra un crescente interesse mediatico. Lo dimostrano le pagine ad essa dedicate, fra gli altri, da grandi testate come National Geographic o New York Times, che la consigliano come inedita meta di viaggio. Il fenomeno è inconsueto, se solo si pensa che la notorietà negativa della Calabria è derivata, negli anni, dal suo “sottosviluppo”. Con la conseguenza che ci sarà sempre qualcuno che, subito dopo il più recente elogio, si prenderà la briga di perpetuare l’“antico biasimo”, per usare un’espressione cara a Benedetto Croce, che si riferiva al detto secondo cui il Sud è “un paradiso abitato dai diavoli”.
Che qualcuno ricordi periodicamente le ombre della Calabria è cosa inevitabile. Ciò che non è affatto scontato, invece, è che, pur persistendo i pregiudizi, qualcuno richiami le luci di una regione che, a questo punto, dovrebbe essere sconsigliata. E invece no: a quanto pare la Calabria è divenuta meta ambita, come si trattasse di una di quelle regioni amazzoniche piene di luoghi incogniti, impreziosite di giungle e rovine, popolate di indigeni pittoreschi.
La Calabria registra un crescente interesse mediatico. Lo dimostrano le pagine ad essa dedicate, fra gli altri, da grandi testate come National Geographic o New York Times, che la consigliano come inedita meta di viaggio. Il fenomeno è inconsueto, se solo si pensa che la notorietà negativa della Calabria è derivata, negli anni, dal suo “sottosviluppo”. Con la conseguenza che ci sarà sempre qualcuno che, subito dopo il più recente elogio, si prenderà la briga di perpetuare l’“antico biasimo”, per usare un’espressione cara a Benedetto Croce, che si riferiva al detto secondo cui il Sud è “un paradiso abitato dai diavoli”.
Che qualcuno ricordi periodicamente le ombre della Calabria è cosa inevitabile. Ciò che non è affatto scontato, invece, è che, pur persistendo i pregiudizi, qualcuno richiami le luci di una regione che, a questo punto, dovrebbe essere sconsigliata. E invece no: a quanto pare la Calabria è divenuta meta ambita, come si trattasse di una di quelle regioni amazzoniche piene di luoghi incogniti, impreziosite di giungle e rovine, popolate di indigeni pittoreschi.
L’idea che mi sono fatto di questa contraddizione è che, nonostante tutto, la Calabria piace a chi è alla costante ricerca di novità da proporre ad un pubblico che ama l’esotico o, meglio, il neo-esotico, visto che almeno dal tempo di quell’ “odio i viaggi e gli esploratori” che il grande etnologo Claude Lévi Strauss impresse nell’incipit del suo famoso libro Tristi tropici – riferendosi alla modernità che cancellava inesorabilmente luoghi, culture ed etnie l’esotico puro non esiste più.
Esotico è un aggettivo che si riferisce alla curiosità della gente di città per paesi lontani, poco civilizzati o comunque con paesaggi, culture, tradizioni molto diverse dalle nostre. Mentre con neo-esotico intendo tutto ciò che, pur contaminato dalla modernità, ha mantenuto, nella realtà o nell’immaginario collettivo, un che di diverso, di non omologato. Ed ecco che la Calabria si presta perfettamente a questa forma di esotismo di prossimità. La Calabria è, infatti, una terra liminare, geograficamente e culturalmente isolata, che si protende verso il sud del Mediterraneo: come volesse staccarsi dal resto d’Europa per sfuggire alla modernità continentale.
A guardar bene, la Calabria annovera dentro di sé tutte le categorie più tipiche dell’esotismo: è neo-autentica perché, volendo, si può venire a contatto con forme di esistenza poco artefatte; è neo-selvaggia, perché lo spopolamento di colline e montagne, le ha restituito una natura straripante; è neo-pittoresca, perché alle rovine della storia si aggiungono le rovine della modernità, “non finito calabro” compreso; è neo-magica, perché nell’era dell’assolutismo razionalistico, offre relitti di irrazionalità difficilmente rinvenibili nel resto d’Europa, come quelli descritti da Ernesto De Martino.
Ed ecco perché, forse, a molte persone abituate all’asettica ed ordinata vita cittadina, alle regole ed alle protezioni urbane, alle relazioni algide e disincarnate, alla noia del già visto, ai lavori alienanti, alle performance ed al successo ottenuti al prezzo della propria salute interiore, al positivismo applicato a qualunque cosa, l’idea di una Calabria avventurosa e forsanche un po’ pericolosa, misteriosa e cerimoniosa, nella quale si possa stare, volendo, in una sorta di isolamento claustrale sanamente relazionale, piace e attrae. È questa la ragione del perché in Calabria sono sempre di più coloro che restano, tornano o approdano per vivervi da “diversamente felici”. E quanto alle ombre della Calabria, potremmo dire, parafrasando lo stesso Croce, che l’antico biasimo del paradiso abitato da diavoli non deve né indignarci né offenderci; e che non deve importarci se e quanto esso sia vero, giovandoci invece – e molto – ritenerlo sempre verissimo per far in modo che, con l’impegno di tutti, esso divenga sempre meno vero.
Francesco Bevilacqua, avvocato, scrittore, giornalista, fotografo, scrive per testate nazionali e locali. Ha pubblicato ventidue libri dedicati al rapporto uomo-natura, alle bellezze naturali, alle aree protette, al viaggio, al paesaggio e alla sua percezione da parte di narratori e viaggiatori, nonché alla cultura, alla storia e alle tradizioni della Calabria. Ricordiamo, fra gli altri: Elogio dello stupore, Calabria, viaggi e paesaggi, Montagne di Calabria, Genius loci, Sulle tracce di Norman Douglas, Lettere meridiane, Le fantasticherie del camminatore errante e i recenti Turbare una stella e Alberi monumentali in Calabria, oltre a numerose guide storico-naturalistiche ed escursionistiche, tutti per Rubbettino editore.